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Autore Piccolo Cesare
DeadSwan

Reg.: 05 Apr 2008
Messaggi: 1478
Da: Desda (es)
Inviato: 23-10-2008 14:19  
Piccolo Cesare di Mervyn leRoy, 1930

Edward Robinson (grande ma poco ricordato attore della Hollywood dei tempi d'oro) e' "Little Ceasar" Enrico Bandello, un gangster che partendo dalla gavetta si fa strada verso i vertici della criminalita' organizzata, fino alla inevitabile caduta.
Modello classico del film di gangster anni '30, quello che dipingeva il criminale come un concentrato di ambizione, una forza tellurica decisa ad imporsi sul mondo o a soccombere nel tentativo (spesso entrambe le cose), questo film mostra il suo assunto attraverso la figura tratteggiata da Robinson. Meno nevrotico e complesso dello Scarface di Muni, meno vitale ed istintivo del Cagney di "Nemico pubblico", Piccolo Cesare condivide con questi 'colleghi' una quasi sovrumana forza di volonta' che qui si esercita soprattutto come aggressivita' verbale, progettualita' e determinazione inflessibile, coscienza arrogante del proprio valore. Rico non ha mai dubbi su se stesso, non ha timori, ha solo obbiettivi e l'energia e decisione con cui li consegue. L'esteriorita' fatta di roboanti proclami e roboanti azioni nasconde pero' un forte complesso di inferiorita', con desiderio di rivalsa, gia' visibile nella dimessa apparenza fisica di colui che si proclama nuovo padrone. Appena presentatosi al boss, si presenta come "Ceasar" Enrico Bandello, per essere poi soprannominato "Little Ceasar": il desiderio di essere preso sul serio, ammirato, temuto, e' la molla segreta di Rico, e cio' che da ultimo lo portera' alla rovina. Il tutto sullo sfondo di una societa' che sta vivendo il terremoto della grande Depressione, in cui l'ossessione del denaro scioglie ogni legame sociale e lascia spazio ad una societa' atomizzata, basata sulla competizione senza esclusione di colpi.
Registicamente ingessato e datato, poco brillante nella costruzione delle scene e nei raccordi narrativi, il film vive soprattutto nella straordinaria interpretazione di Robinson.
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Dresda, Sassonia, Germania
Se non riesci ad uscire dal tunnel, almeno arredalo

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 06-11-2008 12:30  
Perfetta analisi, impeccabile. Ed una vergogna che su un forum di cinema non le faccia eco neppure un commento.
Mi ci butto io, dicendo che a suo modo sembra aver influenzato parecchio lo Scarface di De Palma, visto stto l'aspetto recitativo e non registico (elemento per il quale, al contrario, le due opere prendono nettamente le distanze). Quindi sarebbe meglio dire lo Scarface di Pacino, almeno all'apparenza più debitore verso l'ottimo personaggio tateggiato dal sottovalutatissimo Robinson che non nei confronti del "predecessore" Muni.
In effetti, Robinson è un attore che sto riscoprendo proprio di recente, in opere quali la costa dei barbari - a ripensarci, in realtà, uno dei peggiori Hawks (se non prorio il meno riuscito....fu lui stesso a dire che fu il film che sentì meno suo, per motivi anche di produzione, ytanto per cambiare), ma degno d menzione se non altro proprio per la presenza dell'ecletico attore di origine rumena, istrionico e grande trasformista, vera stella del suo tempo.
Peccato che non sia stato "impiegato" a dovere e che solo registi del calibro di Lang siano riusciti a valorizarne gli aspetti di vero e puro interprete e non solo di mero caratterista. Su tutti, spicca l'interpretaizone del borghese medio, il criminologo alle prese con le proprie paure, i propri scheletri nell'armadio, la propria psicologia degna di sospetto e figlia del sospetto, nell'immenso La donna del ritratto , che non esito a definire uno dei dieci milgiori film della storia del cinema, che sicuramente ha fatto scuola ai vari Hitchcock e colleghi (in particolare per Vertigo ).

Circa la regia di Piccolo Cesare , dici bene, anche se in verità definirla "ingessata" mi sembra un po' ingeneroso. Semplicità non è necessaiamnete sinonimo di povertà stilistica. Io credo che l'aridità totale dell'estetica e del linguaggio di Leroy, qui, possano facilmente corrispondere alla mancanza di spirito del personaggio, alla sua assoluta vocazione per diventare "qualcuno".

De Palma gli ha reso forse qualche tributo, anche a livello figurativo (anche se, come ho detto, i due film si pongono esteticamente a livelli opposti, tranne che sul fronte rcitativo: il primo molto asciutto, il secondo ridondante ed abbondante, quasi all'eccesso): probabilmente il continuo insistere su insegne, cartelli e neon, in una società che sciupa il denaro nell'ossessivo affanno di dover per forza essere per apparire, nasce proprio in ossequio a quell'intermitente, psichedelica, ipnotica ed allucinata scritta "Palermo club", che lampeggia nel Piccolo Cesare di Leroy, quasi fosse il marchio del potere, il sigillo della realizzazione personale.

E mi è piaciuto molto anche il tema particolare della difficoltà totale che si incontra nel tentare di "uscire dal giro", "dalla banda". Ergo, ho apprezzato moltissimo anche la figura dell'amico Joe, determinante sotto ogni aspetto, forse ancora più importante di quella del protagonista, in quanto fa intuire che esiste un minimo barlume di speranza: dopotutto, direi che per tutto il resto le tematiche ed il modo di esprimerle saranno quelle tipiche di tutti i gangster moovie a venire, cioè quelle che riconducono al declino, al crollo definitivo e, quindi, alla morte, solamente dopo che uno spietato protagonista ha compiuto l'unico gesto onesto della sua vita.
Per contro, chi trova la salvezza, è chi ha in cuor suo rinunciato ad opporsi al mondo ed alla società conducendo una vita "criminale", ma ha anche tradito l'amicizia, compiendo un gesto che è tutt'altro che onesto, ma che è, piuttosto, infame. Simbolo di questo sarà l'inquadratura finale, tutt'altro che affidata completamente alla sceneggiatura, ma costruita su un belissimo capovolgimento di fronti (di quelli ripresi, negli anni a seguire, negli ipertrofici Scarface e Carlito's way di De Palma ), a simboleggiare, in una sola ma eloquente immagine, l'ascesa e il declino, il tormento e l'estasi: un cartellone pubblicitario, che da un lato rappresenta il sucesso. E dall'altro raffigura la morte.
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E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti.

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DeadSwan

Reg.: 05 Apr 2008
Messaggi: 1478
Da: Desda (es)
Inviato: 06-11-2008 13:45  
quote:
In data 2008-11-06 12:30, Richmondo scrive:

Circa la regia di Piccolo Cesare , dici bene, anche se in verità definirla "ingessata" mi sembra un po' ingeneroso. Semplicità non è necessaiamnete sinonimo di povertà stilistica.



No, certo, ma qui mi ha colpito negativamente la staticita' quasi "teatrale" delle scene, che non mi pare giustficata da esigenze cinematografiche, ma solo da (azzardo, e forse sbaglio) una scarsa propensione al rischio da parte di LeRoy.
Spesso la determinazione sovrumana di Rico necessiterebbe di un certo movimento dello spazio attorno a lui, per sottolinearne la carica dirompente verso l'esterno, dato che Robinson e' un attore piu' portato ad adattare il proprio gesto all'ambiente circostante che ad imporlo. Al contrario di Cagney, che si crea da solo, prepotentemente, il suo spazio, come nella celebre scena del pompelmo in "Nemico pubblico" (e d'altronde, anche li', Wellman lo asseconda). Invece in "Piccolo Cesare", sia che Rico se ne stia in disparte, sia che si ponga prepotentemente al centro della scena, la struttura dell'inquadratura raramente cambia.
Ho visto Robinson in film in cui il regista era in grado di enfatizzare il suo stile di recitazione, avvicinandolo timidamente nei suoi momenti piu' introspettivi, dandogli spazio in quelli piu' fisici ed intensi. Come Lang, naturalmente. Ma anche Wilder ne "La fiamma del peccato", in cui molto spesso Robinson viene lasciato nella sua inferiorita' fisica nei confronti dell'altro protagonista (mammamia la memoria che mi fa cilecca...), in pose che sottolineano, ad esempio, la differenza di statura; ma in certi momenti, come nella scena del corridoio, con la Stanwyck nascosta dietro la porta, Robinson sembra incombere, proiettare il suo corpo molto al di la' del suo spazio fisico: perche' li' quel mutamento di prospettiva e' necessario.
Ho come l'impressione che LeRoy si accorga raramente di questa necessita'. Tratta quasi ogni sequenza nello stesso identico modo (con eccezione delle scene in notturno, e specie di quella finale), e per questo l'ho definito ingessato.
Relativamente a questo film, lui come regista lo conosco molto poco.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-11-2008 16:13  
Uno dei miei primi film del "cineforum" in quinta elementare... (ai tempi del cucco.., del mestro unico...) e mi piacque molto. Accontenetatevi di queste due righe, così abbasso la mia media battute... y no como el coco a nadie..!

Magari torno...
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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